giovedì 27 gennaio 2011

DONNE SOCIALISTE - La lega (Sebben che siamo donne)

PUBBLICITA': CARFAGNA FIRMA PROTOCOLLO PER DIFESA IMMAGINE DONNE

PUBBLICITA': CARFAGNA FIRMA PROTOCOLLO PER DIFESA IMMAGINE DONNE

13:22 26 GEN 2011

(AGI) - Roma, 26 gen. - Promuovere l'adozione, da parte degli operatori della pubbblicita', di immagini e rappresentazioni che non contengano messaggi violenti o di incitazione alla violenza sulle donne. Tutelare la dignita' della donna, nel rispetto delle pari opportunita', e favorire la diffusione di valori positivi sulla figura femminile. Invitare il mondo della pubblicita' a una maggiore attenzione nella rappresentazione dei generi, che sia rispettosa di donne e uomini e coerente con l'evoluzione dei loro ruoli nella societa'. Sono alcuni degli obiettivi contenuti nel protocollo d'intesa, firmato questa mattina a palazzo Chigi, dal ministro per le Pari opportunita', Mara Carfagna, e dal presidente dell'Istituto dell'autodisciplina pubblicitaria, Giorgio Floridia. Con il protocollo, i firmatari si impegnano anche a favorire e rafforzare ulteriormente l'applicazione del divieto di utilizzare l'immagine della donna in modo offensivo o discriminatorio (inserito nel codice di autodisciplina della comunicazione commerciale) e ad accelerare il procedimento di ingiunzione di interruzione della comunicazione commerciale offensiva o scorretta (prevista dall'articolo 39 del suddetto codice). L'accordo prevede che il ministero per le Pari opportunita' si impegni a denunciare, anche su segnalazione dei cittadini, le comunicazioni commerciali ritenuti lesive della dignita' della donna o che contengano immagini e rappresentazioni di violenza contro le donne. Da parte sua, lo Iap verifichera' con la massima celerita', attraverso il Comitato di controllo, le segnalazioni del ministero per inibire il piu' rapidamente possibile le comunicazioni pubblicitarie chiaramente in contrasto con i contenuti del codice. L'attuazione del protocollo, il monitoraggio, il sostegno e la promozione delle attivita' in esso previste saranno garantiti da un Comitato paritetico composto da tre rappresentanti del ministero e altrettanti dello Iap. "Questo protocollo - ha osservato il ministro Carfagna - ha l'obiettivo di contrastare l'utilizzo distorto, volgare e offensivo dell'immagine della donna nella pubblicita'. In questa battaglia abbiamo trovato un alleato prezioso nello Iap. Mi auguro - ha aggiunto - che questa campagna non venga strumentalizzata per piccoli fini politici". Il ministro ha tenuto a precisare di aver pensato di rimandare la presentazione di questo protocollo a un momento di minore tensione, quando si fossero placate le polemiche nate intorno al caso Ruby. "Ma - ha spiegato - ho deciso di procedere per rispondere alle chiacchiere, al fango e alle millanterie con i fatti, per dimostrare a quanti si riempiono la bocca con il tema della difesa della donna e della sua immagine, che noi - ha concluso - siamo impegnati costantemente, da due anni e mezzo a questa parte, in questa battaglia". (AGI) .

mercoledì 26 gennaio 2011

Resistenza

...sono io oppure sei tu
la donna che ha lottato tanto
perché il brillare naturale dei suoi occhi
non lo scambiassero per pianto...

A casa, il culo schiacciato contro il termosifone, una vecchia cassetta di Fossati e una frase che è bella, che è mia, e che ho ritrovato dopo tanti anni. Per voi.
Pina

domenica 23 gennaio 2011

The doll

Report 19 gennaio 2011

Presenti: Giulia, Michela, Pina , Teresa e Mandana

Punto primo: Teresa ha proposto di partecipare all'attività del Comune del 3 maggio prossimo che è la continuazione del premio giornalistico che ha avuto luogo nel mese di novembre con la premiazione della giornalista iraniana. Al prossimo evento ci sarà l’intervento di giornalisti e scrittori (alcuni tunisini) che subiscono la censura dei loro paesi. La modalità della partecipazione del gruppo è ancora da decidere. Abbiamo tempo fino a metà marzo.

Punto secondo: lunedi 24 gennaio presso la sede della Provincia ci sarà la riunione delle associazioni femminili per discutere come predisporsi al 8 marzo. Il nostro gruppo proporrà la proiezione per lunedi 7 marzo del video di Elisa “Se questa è una donna. Il corpo femminile nei messaggi pubblicitari ”; per maggiori informazioni vi rimando alla mail di Elisa di sabato 22 u.s.. Credo che sia il contesto adatto anche per le proiezioni dei film sulle donne filosofe nella storia, a cui si era pensato precedentemente. Vi ricordo che le proiezioni sono accompagnate da lezioni introduttive. Michela si metterà in contatto per il film “Vision” di Margarethe Von Trotta con il Responsabile del Festival del Cinema di Roma, Felice Laudadio che è anche il compagno della regista.

Punto terzo: La mostra fotografica di Rita; abbiamo pensato di inaugurare anche essa per l'occasione del 8 marzo. Per tal motivo chiedo vivamente alle mie compagne di partecipare al gruppo di mercoledi 26 gennaio. Rita porterà le sue foto per sceglierne alcune insieme, oltre a quelle già scelte da lei. Abbiamo pensato anche ad un titolo “ The Dolls”. A questo proposito Valentina Tinacci, dopo un colloquio avuto con Pina, avrebbe voluto partecipare alla mostra con qualche sua poesia con la stessa tematica. Saremo molto felice di incontrarla nella nostra sede storica, cioè l’aula F, magari con la sua bella bimba per ascoltare le sue poesie lette da lei !
Vale ti aspettiamo.

Per mercoledì prossimo abbiamo anche un compito da fare; rielaborare le parole o le frasi chiave per il manifesto del gruppo. Ecco alcuni punti di riflessione:

• Opportunità di libero circuito tra donne
• Oralità
• Vivere il proprio essere donna tra desiderio e condizionamento
• Scambio teorico
• Sede di rielaborazione saperi e pratiche
• L’anno d’inizio del gruppo coincide con la crisi dell’Università
• Lettura in chiave gender del mio vivere sociale e della mia identità
• La parola diventa politica
• Eredità gruppi di autocoscienza
• Posto dove seminare parole
• Espressione della propria soggettività culturale
• …..

Vi auguro buona settimana

sabato 22 gennaio 2011

il ruolo dei padri

Mie care,
posto un articolo pubblicato sull'Unità di oggi di Claudio Fava, sul ruolo svolto dai vari padre-padrone dell'italietta contemporanea nell'incresciosa vicenda sessuale di Berlusconi.
Vi abbraccio

Veronica

Il silenzio dei padri per le notti di Arcore

di Claudio Fava

Non solo il cavaliere, non solo le ragazzine, non solo le maitresse e gli adulatori, non solo gli amici travestiti da maggiordomi, le procacciatrici di sesso, i dischi di Apicella e la lap dance in cantina: in questa storia da basso impero ci sono anche i padri. E sono l’evocazione più sfrontata, più malinconica di cosa sia rimasto dell’Italia ai tempi di Berlusconi. I padri che amministrano le figlie, che le introducono alla corte del drago, le istruiscono, le accompagnano all’imbocco della notte. I padri che chiedono meticoloso conto e ragione delle loro performance, che si lagnano perché la nomination del Berlusca le ha escluse, che chiedono a quelle loro figlie di non sfigurare, di impegnarsi di più a letto, di meritarsi i favori del vecchio sultano. I padri un po’ prosseneti, un po’ procuratori che smanacciano la vita di quelle ragazze come se fossero biglietti della lotteria e si aggrappano alle fregole del capo del governo come si farebbe con la leva di una slot machine…

Insomma questi padri ci sono, esistono, li abbiamo sentiti sospirare in attesa del verdetto, abbiamo letto nei verbali delle intercettazioni i loro pensieri, li abbiamo sentiti ragionare di arricchimenti e di case e di esistenze cambiate in cambio di una sveltina delle loro figlie con un uomo di settantaquattro anni: sono loro, più del drago, più delle sue ancelle, i veri sconfitti di questa storia. Perché con loro, con i padri, viene meno l’ultimo tassello di italianissima normalità, con loro tutto assume definitivamente un prezzo, una convenienza, un’opportunità.

Ecco perché accanto ai dieci milioni di firme contro Berlusconi andrebbero raccolti altri dieci milioni di firme contro noi italiani. Quelle notti ad Arcore sono lo specchio del paese. Di ragazzine invecchiate in fretta e di padri ottusi e contenti. Convinti che per le loro figlie, grande fratello o grande bordello, l’importante sia essere scelte, essere annusate, essere comprate. Dici: colpa della periferia, della televisione, della povertà che pesa come un cilicio, della ricchezza di pochi che offende come uno sputo e autorizza pensieri impuri. Balle. Bernardo Viola, voi non vi ricordate chi sia stato. Ve lo racconto io. Era il padre di Franca Viola, la ragazzina di diciassette anni di Alcamo che, a metà degli anni sessanta, fu rapita per ordine del suo corteggiatore respinto, tenuta prigioniera per una settimana in un casolare di campagna e a lungo violentata. Era un preludio alle nozze, nell’Italia e nel codice penale di quei tempi. Se ti piaceva una ragazza, e tu a quella ragazza non piacevi, avevi due strade: o ti rassegnavi o te la prendevi. La sequestravi, la stupravi, la sposavi. Secondo le leggi dell’epoca, il matrimonio sanava ogni reato: era l’amore che trionfava, era il senso buono della famiglia e pazienza se per arrivarci dovevi passare sul corpo e sulla dignità di una donna.

A Franca Viola fu riservato lo stesso trattamento. Lui, Filippo Melodia, un picciotto di paese, ricco e figlio di gente dal cognome pesante, aveva offerto in dote a Franca la spider, la terra e il rispetto degli amici. Tutto quello che una ragazza di paese poteva desiderare da un uomo e da un matrimonio nella Sicilia degli anni sessanta. E quando Franca gli disse di no, lui se l’andò a prendere, com’era costume dei tempi. Solo che Franca gli disse di no anche dopo, glielo disse quando fece arrestare lui e i suoi amici, glielo urlò il giorno della sentenza, quando Filippo si sentì condannare a dodici anni di galera.

Il costume morale e sessuale dell’Italia cominciò a cambiare quel giorno, cambiò anche il codice penale, venne cancellato il diritto di rapire e violentare all’ombra di un matrimonio riparatore. Fu per il coraggio di quella ragazzina siciliana. E per suo padre: Bernardo, appunto. Un contadino semianalfabeta, cresciuto a pane e fame zappando la terra degli altri. Gli tagliarono gli alberi, gli ammazzarono le bestie, gli tolsero il lavoro: convinci tua figlia a sposarsi, gli fecero sapere. E lui invece la convinse a tener duro, a denunziare, a pretendere il rispetto della verità. Tu gli metti una mano e io gliene metto altre cento, disse Bernardo a sua figlia Franca. Atto d’amore, più che di coraggio. Era povero, Bernardo, più povero dei padri di alcune squinzie di Arcore, quelli che s’informano se le loro figlie sono state prescelte per il letto del drago. Ma forse era solo un’altra Italia.

martedì 18 gennaio 2011

Bonino: authority per la parità di genere

di Nicoletta Cottone

ROMA - Rivalutazione del merito, utilizzo dei fondi provenienti dall'equiparazione dell'età pensionabile delle donne nel pubblico impiego per le politiche di conciliazione lavoro-famiglia, pubblicità responsabile che non usi il corpo femminile in modo volgare o degradante. Sono queste le tre proposte lanciate dalla vicepresidente del Senato Emma Bonino e dal "comitato Pari e dispare", che animeranno il convegno "Questione femminile, questione Italia" che si svolgerà domani nella sala Zuccari di palazzo Giustiniani. «Perché l'Italia - sottolinea Emma Bonino - è ancora agli ultimi posti in Europa su quasi tutti gli indicatori che misurano l'equiparazione delle donne.

Penalizzate nel lavoro perché ne hanno mille altri da svolgere, compresi tutti quei servizi che lo Stato non fornisce, per i figli o per l'assistenza agli anziani». Sarà un confronto fra parlamentari, industria e parti sociali al quale parteciperanno Emma Marcegaglia, Anna Maria Tarantola, Susanna Camusso, Emma Bonino, Anna Finocchiaro, Rosy Bindi, Maria Ida Germontani, Linda Lanzillotta e Luisa Todini.
Sul fronte della rivalutazione del merito viene proposta un'Authority indipendente per la parità di genere, per giungere a una piena inclusione e alla valorizzazione delle competenze delle donne. Si tratta dell'attuazione della direttiva Ce 2006/54, su pari opportunità e parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego. «L'Authority - spiega la vicepresidente del Senato, Emma Bonino - vuole essere un elemento terzo in grado sia di condannare le pratiche discriminatorie, sia di promuovere quelle più virtuose. Siamo convinti che nelle disparità di merito le donne abbiano tutto fa guadagnare da un'agenzia di monitoraggio». Un organismo, rileva Emma Bonino, «che esiste già in altri paesi, del quale abbiamo bisogno perché la situazione italiana è patetica sotto tutti i punti di vista. E se al Nord ci sono regioni dove l'accesso al mondo del lavoro delle donne è nella media europea, quando poi si sale ai consigli di amministrazione tutto precipita a un prefisso telefonico. Nelle università, nelle banche, come nei giornali. E non serve fare studi approfonditi per saperlo».

domenica 16 gennaio 2011

Report del 12 gennaio 2011

Nel nostro primo incontro dopo la pausa natalizia, abbiamo parlato a lungo della trasformazione della natura del nostro gruppo, in attesa della presenza di Elisa che ci darà informazioni più dettagliate sulla sua proposta mercoledi 19. Una ‘istituzionalizzazione’ più marcata cambierebbe forse profondamente la nostra posizione di soglia che fino ad ora ci ha permesso una totale libertà espressiva, ma probabilmente ci chiamerebbe ad una maggiore responsabilità sui risultati e darebbe spazio alla necessità di avere ‘una stanza tutta per noi’.
Comunque, tutto è rimandato a mercoledì prossimo per una riflessione fondata su dati più oggettivi.
Ancora, siamo in attesa di Elisa e di Rita per parlare del progetto in Facoltà che le coinvolge entrambe.
Iniziamo anche a pensare alla reperibilità dei tre film sulle filosofe, la rassegna che dovrebbe costituire il nostro oggetto di marzo, in modo tale da poterla inserire nelle iniziative che costituiranno il cartellone della Provincia per l’8 marzo, per cui è stata fissata una riunione organizzativa, mi sembra, il 24 gennaio.
Per mercoledi prossimo vi chiamo inoltre a pensare ai contenuti per stilare il nostro manifesto. Questa riflessione mi sembra oltretutto utile per aiutarci a definire in modo netto la nostra ‘natura’: modalità, valori e finalità per noi irrinunciabili e che dovranno potersi esprimere nella nuova forma strutturale che vorremo darci.
Un abbraccio
Pina

lunedì 10 gennaio 2011

For Afghan Wives, a Desperate, Fiery Way Out

A bright child whose favorite subjects were Dari language and poetry, Farzana dreamed of becoming a teacher. But she had been promised in marriage to the son of the family that was providing a wife for her brother, and when she turned 12, her in-laws insisted it was time to marry. Her future husband had just turned 14. Zahra, 21, tried to commit suicide by self-immolation six years ago because she objected to her arranged marriage.

Why Did You Burn Yourself?

“On the marriage day, he beat me when I woke up and shouted at me,” she said. “He was always favoring his mother and using bad words about me.”
The beatings went on for four years. Then Farzana’s brother took a second wife, an insult to Farzana’s in-laws. Her mistreatment worsened. They refused to allow her to see her mother, and her husband beat her more often.
“I thought of running away from that house, but then I thought: what will happen to the name of my family?” she said. “No one in our family has asked for divorce. So how can I be the first?”
Doctors and nurses say that especially in cases involving younger women, fury at their situation, a sense of being trapped and a desire to shame their husbands into caring for them all come together.
This was true of Farzana.
“The thing that forced me to set myself on fire was when my father-in-law said: ‘You are not able to set yourself on fire,’ ” she recalled.
But she did, and when the flames were out, 58 percent of her body was burnt. As a relative bundled her raw body into a car for the hospital, her husband whispered: “If anybody asks you, don’t tell them my name; don’t say I had anything to do with it.’ ”
After 57 days in the hospital and multiple skin grafts, she is home with her mother and torn between family traditions and an inchoate sense that a new way of thinking is needed.
Farzana’s daughter is being brought up by her husband’s family, and mother and daughter are not allowed to see each other. Despite that, she says that she cannot go back to her husband’s house.
“Five years I spent in his house with those people,” she said. “My marriage was for other people. They should never have given me in a child marriage.”

Why do women burn themselves rather than choose another form of suicide?

Poverty is one reason, said Dr. Jalali. Many women mistakenly think death will be instant. Halima, 20, a patient in the hospital in August, said she considered jumping from a roof but worried she would only break her leg. If she set herself on fire, she said, “It would all be over.”
Self-immolation is more common in Herat and western Afghanistan than other parts of the country. The area’s closeness to Iran may partly explain why; Iran shares in the culture of suicide by burning.
Unlike many women admitted to the burn hospital, Ms. Zada showed no outward signs of distress before she set herself on fire. Her life, though, was hard. Her husband is a sharecropper. She cleaned houses and at night stayed up to clean her own home — a nearly impossible task in the family’s squalid earthen and brick two-room house buffeted by the Herati winds that sweep in a layer of dust each time the door opens.
To her family, she was a constant provider. “Before I thought of wanting something, she provided me with it,” said Juma Gul, 32, her eldest son, a laborer who earns about $140 a month. “She would embroider our clothes so that we wouldn’t feel we had less than other people.”
As he spoke, his 10-year-old twin sisters sat near him holding hands and a picture of their mother.
In the hospital, Ms. Zada rallied at first, and Juma Gul was encouraged, unaware of how hard it is to survive such extensive burns. That is especially true in the developing world, said Dr. Robert Sheridan, chief of surgery at the Shriners Burn Hospital in Boston and a trauma surgeon at Massachusetts General Hospital.
The greatest risk is sepsis, a deadly infection that generally starts in the second week after a burn and is hard to stop, Dr. Sheridan said. Even badly burned and infected patients can speak almost up to the hour of their death, often giving families false hopes.
“She was getting better,” her son insisted.
But infection had, in fact, set in, and the family did not have the money for powerful antibiotics that could give her whatever small chance there was to survive. Juma Gul eventually managed to beg and borrow the money, but not before the infection spread.
Two weeks after his mother set herself on fire, he stood by her bed as she stopped breathing.
Published by Newsweek magazine